Altare

È stato solo un istante, ed ho capito che non mi amavi. Eri lì, attonito, privo di luce, come chiuso in una nicchia.
Io sorridevo… quasi. Volevo sdrammatizzare un evento non ancora accaduto – credo di aver sfiorato il ridicolo -.

Nutrirsi di noi, nelle notti insonni. Risvegliarsi al mattino, poggiando le teste l’una all’altro… sorridere, respirare a stento, parlare solo dell’ultima frase… e ancora ridere, piangere.

È stato solo un momento. Non l’ho visto come un inganno, l’ho vissuto come la vigilia di una sentenza. Non mi sono sentita illusa, ma come un rimpianto corrotto, un travestimento riuscito male.

Non è una tua colpa, la mia agonia: anche le spose muoiono. Siamo rinchiusi nello stesso dolore, e tu sei solo un passo più indietro.

Forse mi hai amato davvero, eppure non ti conosco… ti riconosco. Se non mi hai mai amata, invece, io sono solo un’offerta di me. Tu non sei più quello che sei stato, ma solo un rifiuto onesto.

Tuttavia, quest’angoscia che provo mi fa osare. Anche se l’anima vuole tacere, devo dirti quello che provo… adesso.
Il sentirmi preda mi ha resa invisibile, fugace da me, funebre nell’io.
Avverto una pace che m’invade la mente; sento in me nascere una nuova creatura. Provo una strana sensazione, come se nulla potesse spaventarmi, a parte questa nuova me che non conosco… e devo dire che mi piace. Sarà la voglia di morire ridendo, di capire che questo è il mio giorno, il mio tempo.
In quest’istante ti dico che t’amo, t’ho sempre amato… vado solo daccapo. Voglio ricalcare le mie orme, affrontare le origini senza tedio.

La luce dell’esterno m’abbaglia come fossi un’anima intenta a varcare l’eterno; non esiste altro, se non l’invisibile fune che m’attira lontano dal Sacro, da te, da tutto ciò che sento defunto.
Nessun’altra domanda chiede risposta; l’assenza mi spoglia da un vuoto che riempio col bianco che indosso, e le infinite pagliuzze attaccate alla veste, restano pianto mai sceso dagli occhi.

Le promesse cedono, son minuzie poco sane, proprio come quest’altare.

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