Misantropia. (scritto con Raffaele De Masi)

Non sono d’accordo con il mondo. Possiedo i sensi per pensarlo come niente.
Chiudo gli occhi, e una luce di spine m’inchioda alla croce. Una croce stupida, che mi ha insegnato tante cose.
Rido e piango degli uomini, dei loro sporchi muri bianchi, ché con tante facce divengono sudditi delle loro chiome.
Mescolo e rimescolo questa vita, e solo nel suo intervallo ne contemplo l’ombra, e vedo l’uomo che non accetto, per forma e struttura dei tanti esseri che rigetto.
Meglio uno spettro che ne ricordi l’orma; chi si estingue non sarà mai l’ultimo della sua storia.
Non voglio la vita né la morte. Mi basta una fine che svesta me stesso, e non l’essere umano.

Io sono l’essere creato nell’essenza d’odio e disprezzo, indifferente riguardo all’esistenza della sua stessa razza. Vivo nella vergogna della natura umana: covo d’ipocrisia, fonte d’ispirazione per i canti di negatività. Mi nutro d’occulto, ordendo patti con me stesso, attirando l’atroce fine tanto ambita verso gli esseri senzienti, allo scopo di vivere il sogno di solitudine che invase la mia anima in età infante.
La mia nascita… il torto più grande. Portato alla luce in un mondo malvisto dal primo vagito.
Mi tiene in vita l’orgoglio per il mio essere diverso. Ogni respiro è frutto di malizia verso chi aspira alla mia morte. Ogni notte rimiro il cielo e sorrido, beandomi della dannazione, forgiando infine il mio accordo con la vita.

 

 

 

Dal libro “Enigma

 

Altare

È stato solo un istante, ed ho capito che non mi amavi. Eri lì, attonito, privo di luce, come chiuso in una nicchia.
Io sorridevo… quasi. Volevo sdrammatizzare un evento non ancora accaduto – credo di aver sfiorato il ridicolo -.

Nutrirsi di noi, nelle notti insonni. Risvegliarsi al mattino, poggiando le teste l’una all’altro… sorridere, respirare a stento, parlare solo dell’ultima frase… e ancora ridere, piangere.

È stato solo un momento. Non l’ho visto come un inganno, l’ho vissuto come la vigilia di una sentenza. Non mi sono sentita illusa, ma come un rimpianto corrotto, un travestimento riuscito male.

Non è una tua colpa, la mia agonia: anche le spose muoiono. Siamo rinchiusi nello stesso dolore, e tu sei solo un passo più indietro.

Forse mi hai amato davvero, eppure non ti conosco… ti riconosco. Se non mi hai mai amata, invece, io sono solo un’offerta di me. Tu non sei più quello che sei stato, ma solo un rifiuto onesto.

Tuttavia, quest’angoscia che provo mi fa osare. Anche se l’anima vuole tacere, devo dirti quello che provo… adesso.
Il sentirmi preda mi ha resa invisibile, fugace da me, funebre nell’io.
Avverto una pace che m’invade la mente; sento in me nascere una nuova creatura. Provo una strana sensazione, come se nulla potesse spaventarmi, a parte questa nuova me che non conosco… e devo dire che mi piace. Sarà la voglia di morire ridendo, di capire che questo è il mio giorno, il mio tempo.
In quest’istante ti dico che t’amo, t’ho sempre amato… vado solo daccapo. Voglio ricalcare le mie orme, affrontare le origini senza tedio.

La luce dell’esterno m’abbaglia come fossi un’anima intenta a varcare l’eterno; non esiste altro, se non l’invisibile fune che m’attira lontano dal Sacro, da te, da tutto ciò che sento defunto.
Nessun’altra domanda chiede risposta; l’assenza mi spoglia da un vuoto che riempio col bianco che indosso, e le infinite pagliuzze attaccate alla veste, restano pianto mai sceso dagli occhi.

Le promesse cedono, son minuzie poco sane, proprio come quest’altare.

Questo testo è protetto contro il plagio. Questo testo è depositato ed esiste una prova certa della sua data di deposito e/o pubblicazione. Chi ne fa un uso improprio è soggetto alle sanzioni di legge

Riprovare

Non le importava nulla del mondo, non le fregava niente di nessuno.

E poi il cielo…
Di un azzurro così intenso da poterlo toccare.
Le nuvole: meravigliose, leggere, quasi a voler figurare, a volerlo adornare d’immenso, nel profondo, dove dimorava e si dissolveva il sole.

I tramonti all’orizzonte…
Da togliere il fiato, da farle capire che c’era, che lei esisteva… farle capire che ad ogni tramonto c’era un’alba che si avvicinava. Che ogni lacrima al suo cospetto ne rifletteva il colore, ed era quello dei pensieri, ricordi, nostalgie.

Il mare…
Quell’acqua brillante che, con le sue onde spumose, intonava al vento una melodia di note. Ad ogni suo sbattere contro gli scogli era la solita mantra… un ritmo sospeso tra solitudine e pace.

Forse le importava del mondo, delle sue meraviglie.
Tra la luce del giorno e l’oscurità della notte ebbe mille pensieri.

La visione…
Di quando ritornava a casa dal lavoro, e il fruttivendolo, al volo le lanciava una mela. Rincasando, il portiere all’entrata aveva sempre una focaccia calda, senza mai dimenticarsi di porgerle la buonasera.
Forse del mondo le importava qualcuno, e a quel qualcuno importava di lei.
Non era tanto quel che aveva, ma era tutto per come lo vedeva, per le emozioni che provava quando ritornava sui suoi passi, sui luoghi che amava.

 


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