Misantropia. (scritto con Raffaele De Masi)

Non sono d’accordo con il mondo. Possiedo i sensi per pensarlo come niente.
Chiudo gli occhi, e una luce di spine m’inchioda alla croce. Una croce stupida, che mi ha insegnato tante cose.
Rido e piango degli uomini, dei loro sporchi muri bianchi, ché con tante facce divengono sudditi delle loro chiome.
Mescolo e rimescolo questa vita, e solo nel suo intervallo ne contemplo l’ombra, e vedo l’uomo che non accetto, per forma e struttura dei tanti esseri che rigetto.
Meglio uno spettro che ne ricordi l’orma; chi si estingue non sarà mai l’ultimo della sua storia.
Non voglio la vita né la morte. Mi basta una fine che svesta me stesso, e non l’essere umano.

Io sono l’essere creato nell’essenza d’odio e disprezzo, indifferente riguardo all’esistenza della sua stessa razza. Vivo nella vergogna della natura umana: covo d’ipocrisia, fonte d’ispirazione per i canti di negatività. Mi nutro d’occulto, ordendo patti con me stesso, attirando l’atroce fine tanto ambita verso gli esseri senzienti, allo scopo di vivere il sogno di solitudine che invase la mia anima in età infante.
La mia nascita… il torto più grande. Portato alla luce in un mondo malvisto dal primo vagito.
Mi tiene in vita l’orgoglio per il mio essere diverso. Ogni respiro è frutto di malizia verso chi aspira alla mia morte. Ogni notte rimiro il cielo e sorrido, beandomi della dannazione, forgiando infine il mio accordo con la vita.

 

 

 

Dal libro “Enigma

 

Non sono carta

Nota: cosa direbbe un libro ai bambini?

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In tanti m’hanno sfogliato con violenza, cautela, noia.

Ho insegnato ad amare, ad essere paziente, costante. Alcuni m’hanno tradito, altri riposto su uno scaffale… ma a tutti ho lasciato il mio odore sulle mani, o una storia da raccontare.
Sono lo specchio che riflette quel mondo che molti non hanno, pronto a dare vita ad un tempo invisibile, fino a toccarlo.
Leggetemi, sono la via per la saggezza, la voce lontana che non è mai svanita… un valore che nutre la mente fino a mutarla in spirito di vita.
La mia forza è il “per sempre”. Potete strapparmi, bruciarmi, ma mai andrò via dalla vostra mente.

Non esitate, sono l’informazione da ottenere, la porta che vi conduce nella dimensione che volete vedere.
Posso farvi viaggiare sdraiati su di un comodo letto, trasformare uno spazio ridotto in un posto fantastico, ma ricordate: ogni lettore è un potenziale scrittore, e ricomincia daccapo se di un’opera non ha compreso parola.
Iniziate l’avventura, potete esistere in tante vite, viaggiare in un silenzio completo, capire che forse sono io l’universo… il solo posto che vi toglie il respiro.

Dal libro “La magia dell’infanzia” di Angela Albano

Max

Vivo per strada da quando sono nato, e posso dire di condurre una vita da “cani”, proprio nel senso di come la definiscono gli umani: un gioco di sopravvivenza estrema che m’ha forgiato il carattere, e di questo posso vantarmi.

   Mia madre (buon’anima) mi ha insegnato moltissime cose. Alcune di queste riguardano lo stare lontano dai botti, dalle automobili, e soprattutto dagli esseri umani, anche se ignoro qualche volta l’ultima regola, perché nel corso della mia esistenza ne ho conosciuto alcuni meritevoli della mia stima.Molte giornate le trascorro senza troppi problemi. Il cibo mi manca raramente, ora grazie alla gentilezza di alcuni umani; ora per aver rovistato nell’immondizia del retro d’una trattoria… anche se, da quando hanno cominciato a fare la cosiddetta “raccolta differenziata”, molti di noi non sono stati più così fortunati.

Nel luogo dove vivo ho parecchi amici, ma questo capodanno, purtroppo, a causa dei botti, alcuni sono morti per infarto, e altri sono stati seviziati da ragazzini infami… li abbiamo trovati orrendamente maciullati, con i resti degli esplosivi ancora nella bocca. Anche molti gatti hanno subito la stessa sorte.
Ogni fine anno mi aspetto qualche perdita, e non ci si fa mai l’abitudine. Per questo, ogni volta che si avvicina il fatidico giorno, cerco di trovare un buon riparo da condividere con gli altri cani. Quando riesco a trovarne uno abbastanza capiente, comincio ad ululare per attirarne quanti più ne posso dalla mia parte.
Questo è uno dei motivi per cui sono un cane stimato. Ho sempre  aiutato i più deboli, e loro contano su di me per qualsiasi cosa. Si sentono protetti, anche se, in certe situazioni, mi sono davvero cagato sotto… non l’ho mai dato a vedere.
Hanno cominciato a considerarmi un leader quando un giorno sono riuscito a scacciare un rabbioso che aveva cominciato ad aggredire cani, gatti, e persino umani del quartiere. Tutti ne erano spaventati: schiumava dalla bocca, ed emetteva suoni gutturali per niente rassicuranti. Lo attirai alle sponde di un canale di scolo facendomi rincorrere, con la terribile consapevolezza che se mi avesse morso, di certo avrei contratto la sua malattia, e oggi non sarei qui a raccontare questa storia. In un punto particolare del canale, c’erano e ci sono ancora dei pozzi neri quasi invisibili, molto pericolosi anche per i piccoli umani. Tempo fa imparai a a memoria tutti i punti in cui si trovano queste aperture, per mettere in guardia del pericolo anche gli altri cani del quartiere… ma il rabbioso non era delle mie parti,  e ne approfittai per ingannarlo. Nella sua corsa cieca per uccidermi, alla fine si sentì mancare il terreno sotto alle zampe, e finì miseramente i suoi giorni intrappolato in una stretta oscurità cilindrica. Nessun rimorso per la brutta morte, tanto ormai era agli sgoccioli della sua malattia.

La miglior reputazione me la feci due anni fa, quando, girovagando nei pressi d’un cavalcavia,  m’accorsi che c’era un cucciolo legato ad un palo, con una fune stretta intorno al collo. M’avvicinai, e il piccolo iniziò ad annusarmi, scodinzolando felice. Chiaramente aveva appena subito un abbandono da parte di qualche umano stanco di lui. Non sembrava avere fame, ma nella notte  avrebbe iniziato a patirla insieme al freddo. Dovevo farmi venire qualche idea, e alla svelta.
Osservai la fune. Il nodo era bello stretto. Mi venne in mente di cercare aiuto ad un buon uomo che conoscevo, quello che gestiva la trattoria di cui rovistavo la spazzatura… ma a quell’ora era impossibile, perché non avrebbe lasciato il posto di lavoro. L’unica soluzione era attirare l’accalappiacani che normalmente passava di prima mattina, ma sarebbero serviti rinforzi per questa operazione, e i miei compagni non sarebbero stati disponibili fino all’alba. Decisi quindi di passare la notte accanto al poveraccio per dargli conforto, meditando nel frattempo il da farsi.

Verso le cinque e mezza del mattino, poco prima di mettermi all’opera, portai qualcosa da mangiare al cucciolo, rassicurandolo che sarei tornato presto.
Tornai al mio quartiere abbaiando forte. A quell’ora era insolito che io abbaiassi in quel modo, pertanto i miei amici accorsero in massa, all’istante. Spiegai loro la situazione e il mio piano a riguardo. Eravamo in otto. C’ero io a capo del gruppo: un Labrador nato e cresciuto per le vie più malfamate di Napoli;  ‘O Masto: un mastino napoletano di stazza robusta , e con un carattere irascibile; ‘O Mimo: un dalmata rifugiatosi da noi a causa della morte del suo vecchio padrone;  Hitler: un pastore tedesco incrociato con chissà quale altra razza, con anni di esperienza di strada; Mezza Recchia: un cane molto piccolo di statura, con un orecchio mozzato a causa di una colluttazione con un Pit Bull, ma con un grande cervello e un cuore d’oro; Gesù: un bastardino sfuggito più volte a situazioni critiche… un miracolato, insomma. ‘O nano: un bassotto grande amico di alcuni poliziotti, che in più di un’occasione riuscì a smascherare i corrieri della droga al posto dei loro cani addestrati per il mestiere, senza mai avere i giusti meriti. E infine c’era  ‘O nonno: un cane da pastore,  il più anziano e saggio del gruppo.

Dovevamo sbrigarci, perché verso le sei e trenta sarebbero passati gli accalappiacani, e non c’era tempo da perdere.

Arrivammo sul posto. Il cucciolo era ancora lì, infreddolito e impaurito, ma quando mi vide iniziò di nuovo a scodinzolare tutto contento. Come previsto, il furgoncino degli accalappiacani si trovava già in zona. Iniziai ad abbaiare, mostrandomi aggressivo verso il furgone, restando comunque vicino al cucciolo al fine di metterlo in evidenza. Il veicolo si fermò di scatto e subito dopo scese il conducente, avviandosi verso di me a passo spedito, convinto di intimorirmi. Nel frattempo anche il suo socio era sceso dal furgone; aprì di corsa le porte posteriori, per poi dirigersi verso il cucciolo. L’uomo lo liberò dal palo a cui era legato, e lo prese tra le braccia per portarlo dentro al veicolo. Fu allora che sbucarono fuori tutti i miei amici. ‘O Masto fece un balzo verso di lui, abbaiando e ringhiandogli in faccia. Mezza recchia, che era molto basso, si mise fra i suoi piedi, bloccandolo. L’uomo, colto alla sprovvista, fece cadere il cucciolo, che si allontanò velocemente dal casino. Intanto, tutti gli altri vennero in mio soccorso, dandomi zampaforte con l’altro accalappiacani. I due uomini capirono di essere in difficoltà: erano impauriti, perché chiaramente non si aspettavano un agguato del genere. Abbaiai a Gesù di prendere il cucciolo tra le sue fauci e portarlo lontano.  Così fece. Con grande velocità lo raccolse e corse via come un dannato. Il primo accalappiacani se ne accorse e cercò di corrergli dietro, ma ‘O masto gli si piazzò davanti, mostrando le zanne e sbavando come solo un mastino sa fare, scoraggiando così l’inseguitore, che ovviamente chiese aiuto al suo socio. Quest’ultimo cercò di aiutarlo, ma gli altri cani lo tenevano accerchiato, quindi potè fare ben poco se non urlare insistentemente “via via via!” Nel frastuono, io riuscii a sentire dei guaiti nel furgone, e mi accorsi quindi che due cani erano intrappolati nel retro, rinchiusi in alcune gabbie. Li conoscevo di vista, vivevano nei dintorni del Maschio Angioino… erano due bastardini che non avevano mai causato problemi a nessuno. Saltai nel furgone senza dare nell’occhio, chiamando ‘O nonno e  ‘O mimo. Insieme spingemmo le due gabbie fuori, le quali si aprirono di scatto quando urtarono l’asfalto… fortuna che erano state chiuse malissimo.

Ormai eravamo in nove ad affrontare gli umani, che corsero a rinchiudersi nel loro veicolo. A quel punto ululai la ritirata, e corremmo tutti insieme verso la strada che portava a San Biagio dei librai, dove Gesùaveva portato il cucciolo.
Da quelle parti viveva, e vive ancora, una randagia molto in gamba, chiamata da tutti Reginella, la quale aveva figli suoi e adottati. La mamma di tutti i cuccioli spaesati. Una vera cagna di strada.

Arrivati a destinazione, notammo che il cucciolo era già a suo agio insieme a tanti altri piccoli, circondato da cani adulti che li sorvegliavano. Non potevo essere più soddisfatto. Naturalmente mi avvicinai a “Reginella”, le diedi una leccata dietro le orecchie, e lei ricambiò amorevolmente. Eh beh… tra di noi non c’è mai stato bisogno di parlare troppo: comunichiamo così, e ci capiamo alla perfezione. I due che avevo salvato dagli accalappiacani mi ringraziarono, dicendomi che si sentivano in debito con me, e che un giorno avrebbero ricambiato il favore. Quel giorno di certo sarebbe arrivato, in una vita come la nostra.

Non mi restava che tornare a casa, a San Gregorio Armeno, per appisolarmi sul muschio dei presepi disfatti, nel retro della bottega di Salvatore: un mio amico umano, una persona in gamba. Fu lui a darmi un nome: mi diceva sempre che ero un grande, che ero il massimo, e quindi cominciò a chiamarmi così: Massimo.  Perché? Beh, questa è un’altra storia, un altro capitolo della mia vita. Comunque, il nome Massimo mi piacque, e col passare del tempo, tutti iniziarono a chiamarmi con il suo diminutivo: Max.

Ladra di emozioni

Non userò il mio vero nome, ma quello che mi ha accompagnata per tanti anni: Virginia.
Vado subito al sodo: ho deciso di confessarmi e non voglio fare tanti giri di parole.
Ebbene sì, rubo. Rubacchio, riciclo, trasformo e modifico opere non mie, per puro piacere di farlo. Alcune poesie le ho copiate integralmente, senza alcuna variazione. Ho chiesto ad amici di costruire anche dei video musicali, esaltando la poetica delle opere, senza pensare alle conseguenze delle mie azioni. Ci ho pensato tanto, e sono giunta alla conclusione che quando si è ad un passo dalla fossa, non bisogna soffermarsi sulle sofferenze inflitte agli altri. Mi sono sposata giovanissima, ho avuto due figli, ed ho sempre condotto un’esistenza monotona, anche se la mia famiglia è benestante. Tra sorrisi finti, collane di perle e vestiti firmati, la mia figura si è sempre distinta in società… ma sotto sotto, io ero, e sono una trasgressiva. Oggi mi definisco una cleptomane virtuale, e la cosa mi piace.

Iniziai ad usare il computer quando andai in menopausa. Ero sempre irritata: caldane che mi avvampavano ogni minuto, il corpo che si trasformava giorno per giorno, il desiderio sessuale che diminuiva… un inferno. Mia figlia, preoccupata per me, mi suggerì l’idea di cominciare ad usare il computer, di mettere per iscritto ciò che provavo. L’idea fu buona, anche perché io ho sempre urlato dentro di me, ma la mia voce è sempre stata soffocata dagli altri… gli altri: quelli realizzati, quelli che valgono.
Quando iniziai ad usare il computer, un mondo nuovo si aprì dinanzi a me. Cominciai a leggere i grandi poeti, le loro poesie, e soprattutto le loro emozioni… quelle emozioni così simili alle mie. Mi iscrissi in un sito di letteratura, e leggendo altri autori, mi accorsi che venivano elogiati nei commenti… una gratificazione che cercavo anch’io.

Scrissi qualcosa di mio, una poesia d’amore. I commenti non furono entusiasti, la cosa mi irritò parecchio. Ed ecco l’idea del riciclaggio. Bazzicavo nei profili degli altri autori e… un verso da Tizio, uno da Caio nacque una Mia opera. I commenti furono magnifici, anche se alcuni autori mi davano l’idea d’aver capito l’andazzo.

Credo sia una forma di bravura scrivere come faccio io, non è una tecnica facile, e sono certa che anche altri la usano. Chi? Beh, quelli che, come me, hanno difficoltà ad esprimersi nello scritto, specialmente in tempo reale: chat, commenti, email.

Molto tempo fa fui denunciata. Ebbi problemi perché un autore scoprì il video musicale che feci costruire con la sua poesia. Questo video è in circolazione tutt’oggi e non ho alcuna intenzione di rimuoverlo. Fu chiamato in causa anche mio marito: un emerito imbecille che prese le mie difese con tutto se stesso, ma il suo era solo timore che io potessi allontanarmi dal computer. Sì, perché da quando “scrivo” non ci sono più litigate furibonde tra di noi… praticamente sono al pc dalla mattina fino alla sera. Tuttavia, i problemi con il mio consorte sono un’altra storia.
Dopo la denuncia fui espulsa dal sito dove scrivevo. Fu un periodo difficile perché molte persone persero fiducia in me, ma fortunatamente c’erano anche quelli che credevano alla mia “buona fede” e continuavano a commentarmi.

Lo stesso errore l’ho commesso da poco: ho copiato una poesia integralmente e l’ho postata nello stesso sito che recentemente mi aveva riaccettato. Purtroppo l’autrice della poesia se n’è accorta, e sono di nuovo alla mercè pubblica. Sono stata espulsa di nuovo dal sito letterario, e ora sono in balia di chi non mi crede, e di chi mi supporta. Ho una mia opinione sulle persone che ancora mi “stimano”: io sono certa che le persone che ancora esprimono la loro opinione sulle mie opere, conoscono la verità su di me, però mi confortano perché siamo simili. Sono certa che anche loro rubano e modificano opere altrui… o forse provano solo tenerezza nei miei riguardi; in fondo, noi anziani siamo come bambini: giustificati dall’età.

Non voglio cambiare, non ho chiesto scusa e non ho intenzione di farlo. Mi sono rifiutata di parlare con questa autrice, sia al telefono che in chat.
Come ho detto, sono ad un passo dalla fossa… l’unica cosa bella che ho, sono le emozioni degli altri, che io modifico in base al mio stato d’animo. Ecco perché mi approprio di tutto: poesie per bambini, poesie sulle donne, poesie sugli uomini. Prediligo quelle erotiche, perché mi ricordano gli anni del sesso sfrenato che facevo.
No… non cambio. Dietro questa tastiera mi sento una poetessa. Il mondo virtuale è Mio, come tutto quello che c’è in esso: dolore, passione, delusione e disprezzo.

*

In questo breve racconto ho cercato di immedesimarmi (documentandomi) in una personalità ladra, in una di quelle persone che rubano emozioni altrui. In questi giorni ho raccolto moltissime testimonianze di autori che hanno subito sia la copia integrale di una loro opera, sia la modifica, la trasformazione.
Molti di essi hanno subito oltre il danno, anche la beffa… questo perché non solo la loro opera è stata rubata, ma hanno assistito alla vincita di concorsi e cose di questo genere.
Scrittori che hanno venduto le loro canzoni e poi sono stati truffati. Alcune di queste canzoni sono diventate pezzi famosi, mentre i veri autori non hanno ricevuto alcun merito.

Contro questa vergogna è nata una pagina su Facebook chiamata “I ladri di emozioni”, dove tutti coloro che sono stati vittime almeno una volta di questa piaga sociale, possono riunirsi e discuterne, e magari aiutarsi a vicenda per tentare di trionfare.

Per quanto riguarda ciò che è successo a me, sto percorrendo vie legali e non.

Aggiungo: è vero che le parole sono di tutti, non possono essere plagiate, ma quando ci accorgiamo che in una determinata opera sono disposte o composte a seconda della firma di un altro autore, allora si può gridare al plagio. Ognuno di noi ha il suo stile… possiamo anche scrivere qualcosa che non sia originale (quasi niente lo è di questi tempi), ma il modo di scrivere dell’autore è come un’impronta digitale letteraria. La cadenza grammaticale non mente mai.

Te lo rivelo in sogno

Sai perché non mi rifletto nello specchio? Per ferire Dio nella sua vanità. Se mi ha creato a sua immagine e somiglianza, è solo per mostrarmi la sua bellezza attraverso me.

   Lui ed io… due facce della stessa medaglia. Il bene e il male visto in un unico volto, scritto da un’unica mano.

Lo odio con tutto me stesso; l’ho sempre dimostrato al mondo, senza ipocrisia. È stato lui a crearmi con questo sentimento nel cuore, e questa la dice lunga sulla sua indole: è stato tutto premeditato, e se leggi la Bibbia ti accorgerai di quanto Egli sia immaturo e pervertito. Nel tempo, poi, per non destare domande nell’uomo, ha lasciato che i discepoli di suo figlio tramandassero la sua storia. Troppo comodo nascondersi e farsi spalleggiare dagli altri per continuare la sua grande beffa.

Hai notato le iniziali che abbiamo in comune? Dio-Diavolo. Salvatore-Satana. Il significato è chiaro.

Vuoi che ti parli del dolore? Credi davvero che ci sia sempre io dietro ogni sofferenza?
Chi preghi affinché si allieti? Non c’è bisogno che tu mi risponda, conosco la risposta. Non hai la benché minima idea di ciò che Dio è capace di fare, e come si rafforza quando la gente lo prega. Non solo aumenta la sua autostima, ma si compiace della sua superbia. Provoca dolore, per poi esaudire la preghiera del credente. Naturalmente sparge la voce tra i fedeli… ed ecco il miracolo, la grazia ricevuta. Ma non è finita qui! Il Buontempone ha creato un vero e proprio mercato spirituale: quante grazie occorrono per una beatificazione? Quante ancora per un nuovo Santo? Eh-he, il grande business di Dio, moltiplicato dalla Chiesa, triplicato dal Vaticano.

Io entro nelle persone per donare loro il dubbio, mi basta questo per soddisfarmi. La verità la conosciamo io e Dio, e le persone non sono state create per accettarla appieno. Volontà dell’Onnipotente: hanno troppa paura della solitudine, forse più della morte. È il dubbio che li rende schiavi della scelta, ed è sempre attraverso l’incertezza che “l’Onnipotente” li tiene legati a sé, usando la scusa della fede. A dispetto di se stesso però, questo suo modo di fare li avvicina anche a me.
In questi giorni ho ascoltato le tue lamentele, ti sei chiesta perché dovresti fare il segno della croce se questa la porti addosso ogni giorno, come un vestito invisibile. Beh, l’ha accollata al figlio innocente, figuriamoci se risparmiava te che sei una dei tanti.
La “crocifissione”… un padre che lascia morire la propria carne in un modo disumano, portando avanti la storiella che il figlio ce l’avrebbe fatta a portare il peso di tutti i peccati degli uomini, ignorando il fatto che Lui stesso ne era pieno. La teatralità di questa morte ha toccato così profondamente l’umanità, da ricordarla col rituale di segnarsi, prima di proferir parola con Lui.
È un grande, la sua cattiveria non ha limiti… mi sono sempre chiesto se, durante la Passione,  Egli osservasse la scena con masochismo, o con pietà.
Sacrificare il figlio, per poi assimilarlo in un’unica fusione: Padre, figlio e Spirito Santo… geniale!
Tu mi sei sempre piaciuta; sei intelligente, ti poni tante domande. Ti chiederai allora il motivo per cui ti sto dicendo tutto questo in un sogno, e perché lo faccio attraverso tuo padre. Beh, il sogno è sempre stato portatore di consigli, di riflessioni, di opinioni… e comunque, faccia a faccia non mi avresti ascoltato.

   Al risveglio ti ricorderai di me, di quello che ti ho detto, e soprattutto che anche il tuo vecchio è fatto a Sua immagine e somiglianza.

Avrei tanto altro da dirti; tuttavia, quando incarno il dubbio nelle persone come te, alla fine mi aspetto sempre la certezza.

La creatura

Mi chiamo Henna, ho trentaquattro anni e vivo in un paesino sperduto dal mondo che non offre nulla, a parte la solitudine: l’unica cosa che mi ha sempre spaventata sul serio. Sono circa cinque anni che vivo in questo paese; la gente qui è asociale – o forse lo sono io – per questo non ho stretto amicizia con nessuno. Gli unici amici che mi ritrovo sono soltanto due, ma vivono lontano da me.
Le mie giornate sono noiose, non parlo mai con nessuno… a volte per giorni, settimane. Nei periodi festivi, quando non lavoro (in un’umile libreria), mi sento come se fossi agli arresti domiciliari.
Tuttavia, ogni sera, da circa due anni, una persona viene a farmi visita: un uomo. Si presenta un’ora dopo che mi sono infilata sotto le coperte; si siede sulla poltrona che si trova ai piedi del mio letto, e mi guarda.
Non so chi sia, non conosco il suo volto… ma forse conosco le sue intenzioni; non ho mai guardato direttamente verso di lui, perché la paura mi ha sempre bloccata. Diciamo che vado a sensazioni, e sono convinta che, se solo provassi a incrociare il suo sguardo, mi ucciderebbe. Forse è solo una sfida la sua: fare in modo che io ceda e lo guardi dritto negli occhi.

M’accorgo del suo arrivo dal fruscìo dei pantaloni, dei movimenti quando accavalla le gambe, e, a volte, dall’odore acre che emette. Sono anche sicura di percepire quando è felice, o quando è arrabbiato.
Eppure mi sono legata a questo individuo in un modo assurdo. Non m’importa della sua identità, ci sto bene, mi sento protetta, sicura. Almeno ho qualcuno che mi aspetta quando rientro a casa, mi sento persino desiderata. Non posso più fare a meno di lui, sì, lo amo.
Molte volte mi sono fermata dinanzi allo studio di uno psicologo, ma sono sempre ritornata sui miei passi; se fosse un disturbo il mio, allora ben venga se mi fa sentire felice.

Tre mesi fa accadde un fatto insolito: un comportamento strano che mi spaventò, ma che alla fine mi donò un piacere immenso. Mi ero appena infilata a letto quando lo sentii arrivare; quella volta però, non si sedette sulla poltrona come di consueto, ma si sdraiò accanto a me. Io ero voltata dall’altra parte… e lui mi avvolse in un abbraccio caloroso, non tattile. Tuttavia, posso dire che le sensazioni furono di gran lunga più forti di quando si tocca con mano una persona. Provai un miscuglio di percezioni: emozioni e sensazioni accentuate dai fremiti, dal calore che emanava, dall’odore e dalla passione. Sentii dentro di me un piacere talmente intenso da raggiungere l’orgasmo. Ad un certo punto, palpitavo come se avessi piccole scosse elettriche. Il mio corpo si dimenava, sobbalzava sul letto, facendomi addirittura perdere la vista e il controllo. Consumammo un rapporto sessuale senza toccarci. Fu un’esperienza meravigliosa, che spero di provare ancora una volta.

Sono incinta, mi sono sottoposta ad un’ecografia. Purtroppo, il dottore mi ha detto che un aborto sarebbe la cosa migliore, ché nel mio utero non esiste nessun feto, ché l’unica cosa che batte dentro di me è un grumo di sangue provvisto di denti… una malformazione molto grave per portare avanti una gravidanza.
Cambio città, voglio tenere il mio bambino. Se esistono i mostri, allora io voglio vivere con loro.
I veri mostri sono le persone “reali” e “normali”. Cos’è la normalità? Non ho mai ricevuto nulla dalla gente comune. Tutto quello che ho amato davvero mi ha abbandonata. L’unica persona che non l’ha fatto non esiste, è obliata alla società, persino ai miei occhi… ma non alle mie sensazioni.
Nasconderò mio figlio a questo mondo che mai lo accetterà. E comunque, vivrà tra la sua gente, qualunque razza appartengano… perché credo che le mie creature provengano da un posto che noi non potremmo mai vedere.
Io mi sento fortunata. Anche se il mio compagno non sarà mai visibile, mi ha dato la possibilità di guardare negli occhi mio figlio, crescerlo insieme a lui… provare finalmente cos’è l’amore vero, quello che si tocca con l’anima, restando cieco solo alla vista di quelli che non vogliono, o non osano vedere.

Tutto e Niente

Nel tempo senza tempo, Tutto aveva un lieto fine, e Niente era senza scampo.

*

“Tutto” era un barbone, un vecchietto molto simpatico con una lunga barba e un bastone tricolore, che all’occorrenza apriva come fosse un ombrellone. Era sempre allegro e trasmetteva allegria alla gente. I bambini lo adoravano, e tutti i giorni lo aspettavano all’uscita di scuola. Correvano verso di lui formando un cerchio ampio, si sedevano sull’erba del giardino e iniziavano a battere le mani. Tutto apriva il bastone-ombrellone, il quale si apriva di botto soffiando coriandoli a più non posso. All’orlo c’erano penzoloni tante palline dai mille colori, e ognuna di essa aveva disegnata una faccina buffa.
Lo strano oggetto iniziava a girare, e come per magia si udiva una musica allegra e gioiosa. Nessuno sapeva da dove provenisse quel suono, tuttavia non era importante, perché ciò che contava era solo l’armonia, l’unione che i bambini provavano gli uni per gli altri.

Prima di ritornare alle loro case, i bambini salutavano affettuosamente Tutto, e non dimenticavano mai di dargli qualcosa da mangiare: panini, frutta e dolcetti, presi dalla mensa scolastica, e soprattutto, non dimenticavano mai di dirgli in coro “ti vogliamo bene!”

*

“Niente” era una barbona, una vecchietta scorbutica e sempre imbronciata. Non dava confidenza a nessuno, sedeva ai bordi delle strade con una mano sempre tesa verso la gente, sperando in un po’di carità.
Un bel giorno, passando fuori dalla scuola elementare, vide lo spettacolo di Tutto; così le venne l’idea di imitarlo. In tutta fretta, si procurò un ombrellone da spiaggia, adornandolo con cianfrusaglie trovate in giro, così ogni volta che lo apriva, faceva un rumore stridulo e chiassoso. Naturalmente era un modo di attirare a sé i bambini.

Il giorno dopo, Niente si fece trovare fuori dalla scuola, occupando il posto di Tutto. Non appena udì la campanella scolastica, aprì di botto il suo ombrellone, e quel rumore chiassoso attirò immediatamente i bambini, i quali si accorsero subito che non era il loro amico.
Attratti e meravigliati dal frastuono che fuoriusciva dall’ombrellone, si avvicinarono a quella buffa vecchietta. Tuttavia, non si sedettero sull’erba, non applaudirono… e anche se quell’ombrellone non era bello come quello di Tutto, ai bambini piaceva moltissimo. Eppure, qualcosa frenava la loro allegria. Non sapevano nemmeno spiegarsi il perché. Di sicuro però, non percepivano né calore né armonia. Questo perché mancava un sorriso sul viso di Niente, non c’era sincerità nelle sue gesta… queste doti, purtroppo, non appartenevano alla natura di Niente.

Prima di ritornare alle loro case, i bambini salutarono affettuosamente Niente, le diedero da mangiare le stesse cose che di solito davano a Tutto. Queste gesta fecero sentire in colpa Niente, che chiuse il suo ombrellone guardando i bambini con un mezzo sorriso, provando vergogna di fronte all’onestà e alla solidarietà dei bambini
.
*

Nella vita, se hai tutto, ma ti manca il sorriso, non hai niente. Se non hai niente, ma hai un sorriso da condividere con altre persone, hai tutto… anche se sembra niente.

 

 

Adesso parlo io

La vita… la gente non sa nulla della vera vita, non l’ha mai vissuta profondamente, poiché non sa cosa sia la pace.
Io sono la verità! La liberazione!
Eppure, tutti hanno paura di me, persino Cristo… per istanti, fui il suo incubo peggiore.
Di me temete il nome, solo quello… me ne hanno affibbiati tanti e tutti inquietanti. Bisognerebbe pensare a me come un filo conduttore che trasporta in un regno sconosciuto, inesplorato, dove tutto ha un inizio e non più una fine.

Tutti si consolano pensando che i propri defunti rivivono nei loro ricordi. Bazzecole… i morti sono con me, in una dimensione che i viventi non possono oltrepassare. E poi, “defunti”, anche questo nome è inquietante, ma che cavolo! Tutto ciò che mi riguarda lo è! Dicevo: altro che defunti, si divertono come matti, specialmente gli anziani che si sentono rinvigoriti, me ne ritrovo tanti. I giovani invece sono pochi: da me, purtroppo, si giunge in tarda età (non sempre sia chiaro), ma dovrebbero “morire” prima loro. La disperazione di perdere un ragazzo nella vita terrena, lacera totalmente le famiglie. Se solo pensassero che i loro cari giungono nel mondo della salvezza, della “non morte”… ma non dico nulla, non posso espormi più di tanto… sono e devo restare un mistero.

Ritorniamo alla paura, al timore che incuto. È la vita che fa paura: le sofferenze, le malattie, le guerre, le carestie… tutte le brutture le potete trovare in lei, mentre io vi libero da tutti questi mali. Pensateci: io vi libero dall’agonia mentre la sofferenza più atroce vi sta lacerando. Naturalmente non potete sapere che anch’io dono la gioia, che posso regalare quei momenti estasianti che nel corso della vostra esistenza provate.
Quali momenti? Beh, dovete trapassare per darmi ragione, per sapere qual è la vera vita, che il riposo eterno non esiste.

Il problema per me è sempre stato il nome e l’immagine che mi hanno affibbiato: sono certa che se mi fossi chiamata “Candida” e non mi avrebbero immaginato con una falce impugnata, con un viso scheletrico ghignante, le cose sarebbero state diverse. La curiosità di dipartire avrebbe colto tutti e, di sicuro, avrebbero dovuto emanare una legge per non far suicidare le persone, oppure, inventare una tassa contro possibili imbrogli a mio danno.
Com’è ingiusta la vita eh? Con me lo è sempre stata, e comunque, non si può avere tutto da lei… naturalmente da me sì, poiché io sono la sua essenza vitale.

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Altare

È stato solo un istante, ed ho capito che non mi amavi. Eri lì, attonito, privo di luce, come chiuso in una nicchia.
Io sorridevo… quasi. Volevo sdrammatizzare un evento non ancora accaduto – credo di aver sfiorato il ridicolo -.

Nutrirsi di noi, nelle notti insonni. Risvegliarsi al mattino, poggiando le teste l’una all’altro… sorridere, respirare a stento, parlare solo dell’ultima frase… e ancora ridere, piangere.

È stato solo un momento. Non l’ho visto come un inganno, l’ho vissuto come la vigilia di una sentenza. Non mi sono sentita illusa, ma come un rimpianto corrotto, un travestimento riuscito male.

Non è una tua colpa, la mia agonia: anche le spose muoiono. Siamo rinchiusi nello stesso dolore, e tu sei solo un passo più indietro.

Forse mi hai amato davvero, eppure non ti conosco… ti riconosco. Se non mi hai mai amata, invece, io sono solo un’offerta di me. Tu non sei più quello che sei stato, ma solo un rifiuto onesto.

Tuttavia, quest’angoscia che provo mi fa osare. Anche se l’anima vuole tacere, devo dirti quello che provo… adesso.
Il sentirmi preda mi ha resa invisibile, fugace da me, funebre nell’io.
Avverto una pace che m’invade la mente; sento in me nascere una nuova creatura. Provo una strana sensazione, come se nulla potesse spaventarmi, a parte questa nuova me che non conosco… e devo dire che mi piace. Sarà la voglia di morire ridendo, di capire che questo è il mio giorno, il mio tempo.
In quest’istante ti dico che t’amo, t’ho sempre amato… vado solo daccapo. Voglio ricalcare le mie orme, affrontare le origini senza tedio.

La luce dell’esterno m’abbaglia come fossi un’anima intenta a varcare l’eterno; non esiste altro, se non l’invisibile fune che m’attira lontano dal Sacro, da te, da tutto ciò che sento defunto.
Nessun’altra domanda chiede risposta; l’assenza mi spoglia da un vuoto che riempio col bianco che indosso, e le infinite pagliuzze attaccate alla veste, restano pianto mai sceso dagli occhi.

Le promesse cedono, son minuzie poco sane, proprio come quest’altare.

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La festa

Quante persone ci sono in questa stanza, danzano felici, senza musica. Ridono, eppure sento il loro dolore… ridono e scherzano ma quante lacrime vedo, bagnano persino le mie dita.
La torta non è male, dà fastidio solo il retrogusto salato… mi chiedo perché la offrono in scatolette metalliche, potevano fare di meglio!
Quei tipi fuori al balcone sono strani, non capisco… non è una festa in maschera, che stupidi, e la padrona di casa non dice nulla, mah…
Quei costumi che indossano li trovo fuori luogo, rappresentano dei mostri, sono davvero brutti. Che cosa avranno poi da urlare!? E quel liquido che fuoriesce dalla loro bocca si vede che non è sangue, sarà pomodoro, che schifo!
Come prevedevo, nessuno mi dà confidenza, non ci volevo neppure venire. Meno male che non mi annoio… ce n’è di gente strana da vedere.
Che belle luci però, sono intermittenti come quelle degli alberi natalizi. Posso usarle come voglio: spente, accese, spente, accese, veloci, lente…  non si accorgono nemmeno che sono io a farle luccicare così.
Ahia, mi fa male il sedere su questa sedia, ma è meglio se me ne sto seduta, in fondo, in quest’angolo mi sento a mio agio, come se fossi nella mia cameretta.
Oddio, sta entrando, è lui! Il mio principe bianco. Quant’è bello, lo adoro, chissà se gli piacerà il mio vestito e cosa mi dirà dell’acconciatura. Di sicuro mi offrirà da bere, lo ha sempre fatto, anche se quello che mi offre non mi è mai piaciuto, che strani gusti si ritrova, ma non glielo dirò mai.
Si avvicina! Il cuore mi batte all’impazzata… ha già il bicchiere in mano, ma che gentile! Però non mi ha detto nulla del vestito, quant’è discreto, è un amore.
Si è fatto tardi, mi avevano detto che alla fine della festa tutti gli invitati avrebbero fatto la foto con la festeggiata. Ah, ecco che si radunano.
E quelli? Chi sono? Altro che mostri, non hanno le labbra, come la faranno la foto senza sorridere?
Nessuno ha detto niente, è giusto così, non si deve ridere dei difetti altrui, non sta bene!
Hanno chiamato me! Mi tremano le gambe, farò la foto con il mio principe bianco e con sua sorella, che poi è la festeggiata di stasera.
La faremo sdraiati mi hanno detto, col casco e con una grossa gomma da masticare in bocca, così rideranno tutti.

Che male, un dolore così non l’ho mai provato, meno male che indosso sempre il pannolone, mi è scappata un po’ di pipì. Se sapevo che scattare una foto facesse così male, col cavolo che l’avrei fatta!
In compenso però, il mio principe bianco mi ha abbracciata.
Dopotutto è stata una bella festa, chissà come sono venuta nella foto.