Senso d’angoscia

È solo un respiro
più audace
che si consuma assente
nel torace.

Non ricordo il colore
del domani,
ti guardo e non so
chi sei.
Non ho paura di questo
male…
accade.
Mi consola che duri
un secondo,
in fondo è solo colpevole
dentro.

Tocco la terra ripiegata
sulle mani…
anche oggi è passato,
ed è già sera.

Dal libro: Tutta la vita. Di Angela Albano

Non sono carta

Nota: cosa direbbe un libro ai bambini?

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In tanti m’hanno sfogliato con violenza, cautela, noia.

Ho insegnato ad amare, ad essere paziente, costante. Alcuni m’hanno tradito, altri riposto su uno scaffale… ma a tutti ho lasciato il mio odore sulle mani, o una storia da raccontare.
Sono lo specchio che riflette quel mondo che molti non hanno, pronto a dare vita ad un tempo invisibile, fino a toccarlo.
Leggetemi, sono la via per la saggezza, la voce lontana che non è mai svanita… un valore che nutre la mente fino a mutarla in spirito di vita.
La mia forza è il “per sempre”. Potete strapparmi, bruciarmi, ma mai andrò via dalla vostra mente.

Non esitate, sono l’informazione da ottenere, la porta che vi conduce nella dimensione che volete vedere.
Posso farvi viaggiare sdraiati su di un comodo letto, trasformare uno spazio ridotto in un posto fantastico, ma ricordate: ogni lettore è un potenziale scrittore, e ricomincia daccapo se di un’opera non ha compreso parola.
Iniziate l’avventura, potete esistere in tante vite, viaggiare in un silenzio completo, capire che forse sono io l’universo… il solo posto che vi toglie il respiro.

Dal libro “La magia dell’infanzia” di Angela Albano

Max

Vivo per strada da quando sono nato, e posso dire di condurre una vita da “cani”, proprio nel senso di come la definiscono gli umani: un gioco di sopravvivenza estrema che m’ha forgiato il carattere, e di questo posso vantarmi.

   Mia madre (buon’anima) mi ha insegnato moltissime cose. Alcune di queste riguardano lo stare lontano dai botti, dalle automobili, e soprattutto dagli esseri umani, anche se ignoro qualche volta l’ultima regola, perché nel corso della mia esistenza ne ho conosciuto alcuni meritevoli della mia stima.Molte giornate le trascorro senza troppi problemi. Il cibo mi manca raramente, ora grazie alla gentilezza di alcuni umani; ora per aver rovistato nell’immondizia del retro d’una trattoria… anche se, da quando hanno cominciato a fare la cosiddetta “raccolta differenziata”, molti di noi non sono stati più così fortunati.

Nel luogo dove vivo ho parecchi amici, ma questo capodanno, purtroppo, a causa dei botti, alcuni sono morti per infarto, e altri sono stati seviziati da ragazzini infami… li abbiamo trovati orrendamente maciullati, con i resti degli esplosivi ancora nella bocca. Anche molti gatti hanno subito la stessa sorte.
Ogni fine anno mi aspetto qualche perdita, e non ci si fa mai l’abitudine. Per questo, ogni volta che si avvicina il fatidico giorno, cerco di trovare un buon riparo da condividere con gli altri cani. Quando riesco a trovarne uno abbastanza capiente, comincio ad ululare per attirarne quanti più ne posso dalla mia parte.
Questo è uno dei motivi per cui sono un cane stimato. Ho sempre  aiutato i più deboli, e loro contano su di me per qualsiasi cosa. Si sentono protetti, anche se, in certe situazioni, mi sono davvero cagato sotto… non l’ho mai dato a vedere.
Hanno cominciato a considerarmi un leader quando un giorno sono riuscito a scacciare un rabbioso che aveva cominciato ad aggredire cani, gatti, e persino umani del quartiere. Tutti ne erano spaventati: schiumava dalla bocca, ed emetteva suoni gutturali per niente rassicuranti. Lo attirai alle sponde di un canale di scolo facendomi rincorrere, con la terribile consapevolezza che se mi avesse morso, di certo avrei contratto la sua malattia, e oggi non sarei qui a raccontare questa storia. In un punto particolare del canale, c’erano e ci sono ancora dei pozzi neri quasi invisibili, molto pericolosi anche per i piccoli umani. Tempo fa imparai a a memoria tutti i punti in cui si trovano queste aperture, per mettere in guardia del pericolo anche gli altri cani del quartiere… ma il rabbioso non era delle mie parti,  e ne approfittai per ingannarlo. Nella sua corsa cieca per uccidermi, alla fine si sentì mancare il terreno sotto alle zampe, e finì miseramente i suoi giorni intrappolato in una stretta oscurità cilindrica. Nessun rimorso per la brutta morte, tanto ormai era agli sgoccioli della sua malattia.

La miglior reputazione me la feci due anni fa, quando, girovagando nei pressi d’un cavalcavia,  m’accorsi che c’era un cucciolo legato ad un palo, con una fune stretta intorno al collo. M’avvicinai, e il piccolo iniziò ad annusarmi, scodinzolando felice. Chiaramente aveva appena subito un abbandono da parte di qualche umano stanco di lui. Non sembrava avere fame, ma nella notte  avrebbe iniziato a patirla insieme al freddo. Dovevo farmi venire qualche idea, e alla svelta.
Osservai la fune. Il nodo era bello stretto. Mi venne in mente di cercare aiuto ad un buon uomo che conoscevo, quello che gestiva la trattoria di cui rovistavo la spazzatura… ma a quell’ora era impossibile, perché non avrebbe lasciato il posto di lavoro. L’unica soluzione era attirare l’accalappiacani che normalmente passava di prima mattina, ma sarebbero serviti rinforzi per questa operazione, e i miei compagni non sarebbero stati disponibili fino all’alba. Decisi quindi di passare la notte accanto al poveraccio per dargli conforto, meditando nel frattempo il da farsi.

Verso le cinque e mezza del mattino, poco prima di mettermi all’opera, portai qualcosa da mangiare al cucciolo, rassicurandolo che sarei tornato presto.
Tornai al mio quartiere abbaiando forte. A quell’ora era insolito che io abbaiassi in quel modo, pertanto i miei amici accorsero in massa, all’istante. Spiegai loro la situazione e il mio piano a riguardo. Eravamo in otto. C’ero io a capo del gruppo: un Labrador nato e cresciuto per le vie più malfamate di Napoli;  ‘O Masto: un mastino napoletano di stazza robusta , e con un carattere irascibile; ‘O Mimo: un dalmata rifugiatosi da noi a causa della morte del suo vecchio padrone;  Hitler: un pastore tedesco incrociato con chissà quale altra razza, con anni di esperienza di strada; Mezza Recchia: un cane molto piccolo di statura, con un orecchio mozzato a causa di una colluttazione con un Pit Bull, ma con un grande cervello e un cuore d’oro; Gesù: un bastardino sfuggito più volte a situazioni critiche… un miracolato, insomma. ‘O nano: un bassotto grande amico di alcuni poliziotti, che in più di un’occasione riuscì a smascherare i corrieri della droga al posto dei loro cani addestrati per il mestiere, senza mai avere i giusti meriti. E infine c’era  ‘O nonno: un cane da pastore,  il più anziano e saggio del gruppo.

Dovevamo sbrigarci, perché verso le sei e trenta sarebbero passati gli accalappiacani, e non c’era tempo da perdere.

Arrivammo sul posto. Il cucciolo era ancora lì, infreddolito e impaurito, ma quando mi vide iniziò di nuovo a scodinzolare tutto contento. Come previsto, il furgoncino degli accalappiacani si trovava già in zona. Iniziai ad abbaiare, mostrandomi aggressivo verso il furgone, restando comunque vicino al cucciolo al fine di metterlo in evidenza. Il veicolo si fermò di scatto e subito dopo scese il conducente, avviandosi verso di me a passo spedito, convinto di intimorirmi. Nel frattempo anche il suo socio era sceso dal furgone; aprì di corsa le porte posteriori, per poi dirigersi verso il cucciolo. L’uomo lo liberò dal palo a cui era legato, e lo prese tra le braccia per portarlo dentro al veicolo. Fu allora che sbucarono fuori tutti i miei amici. ‘O Masto fece un balzo verso di lui, abbaiando e ringhiandogli in faccia. Mezza recchia, che era molto basso, si mise fra i suoi piedi, bloccandolo. L’uomo, colto alla sprovvista, fece cadere il cucciolo, che si allontanò velocemente dal casino. Intanto, tutti gli altri vennero in mio soccorso, dandomi zampaforte con l’altro accalappiacani. I due uomini capirono di essere in difficoltà: erano impauriti, perché chiaramente non si aspettavano un agguato del genere. Abbaiai a Gesù di prendere il cucciolo tra le sue fauci e portarlo lontano.  Così fece. Con grande velocità lo raccolse e corse via come un dannato. Il primo accalappiacani se ne accorse e cercò di corrergli dietro, ma ‘O masto gli si piazzò davanti, mostrando le zanne e sbavando come solo un mastino sa fare, scoraggiando così l’inseguitore, che ovviamente chiese aiuto al suo socio. Quest’ultimo cercò di aiutarlo, ma gli altri cani lo tenevano accerchiato, quindi potè fare ben poco se non urlare insistentemente “via via via!” Nel frastuono, io riuscii a sentire dei guaiti nel furgone, e mi accorsi quindi che due cani erano intrappolati nel retro, rinchiusi in alcune gabbie. Li conoscevo di vista, vivevano nei dintorni del Maschio Angioino… erano due bastardini che non avevano mai causato problemi a nessuno. Saltai nel furgone senza dare nell’occhio, chiamando ‘O nonno e  ‘O mimo. Insieme spingemmo le due gabbie fuori, le quali si aprirono di scatto quando urtarono l’asfalto… fortuna che erano state chiuse malissimo.

Ormai eravamo in nove ad affrontare gli umani, che corsero a rinchiudersi nel loro veicolo. A quel punto ululai la ritirata, e corremmo tutti insieme verso la strada che portava a San Biagio dei librai, dove Gesùaveva portato il cucciolo.
Da quelle parti viveva, e vive ancora, una randagia molto in gamba, chiamata da tutti Reginella, la quale aveva figli suoi e adottati. La mamma di tutti i cuccioli spaesati. Una vera cagna di strada.

Arrivati a destinazione, notammo che il cucciolo era già a suo agio insieme a tanti altri piccoli, circondato da cani adulti che li sorvegliavano. Non potevo essere più soddisfatto. Naturalmente mi avvicinai a “Reginella”, le diedi una leccata dietro le orecchie, e lei ricambiò amorevolmente. Eh beh… tra di noi non c’è mai stato bisogno di parlare troppo: comunichiamo così, e ci capiamo alla perfezione. I due che avevo salvato dagli accalappiacani mi ringraziarono, dicendomi che si sentivano in debito con me, e che un giorno avrebbero ricambiato il favore. Quel giorno di certo sarebbe arrivato, in una vita come la nostra.

Non mi restava che tornare a casa, a San Gregorio Armeno, per appisolarmi sul muschio dei presepi disfatti, nel retro della bottega di Salvatore: un mio amico umano, una persona in gamba. Fu lui a darmi un nome: mi diceva sempre che ero un grande, che ero il massimo, e quindi cominciò a chiamarmi così: Massimo.  Perché? Beh, questa è un’altra storia, un altro capitolo della mia vita. Comunque, il nome Massimo mi piacque, e col passare del tempo, tutti iniziarono a chiamarmi con il suo diminutivo: Max.

Una voce

Era solo una voce
che da un filo sorpassava
un muro.
Ascoltavo ogni frase
col bisogno d’urlare.
Scavava a fondo
e in superficie.
Senza vedere, s’aggrappava
alle corde vocali.
Sovrastava il disagio,
e al volume lasciava
il volere.
Era un suono lungo
e breve.
Nel tempo, l’ho stretto
tra i denti,
schiacciando il parlare,
per poi perdermi.

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Dal libro “Tutta la vita” di Angela Albano

Tutta la vita (il mio nuovo libro)

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In questo libro è racchiusa in metafora tutta la materia di cui è composta la vita, i suoi punti più luminosi, e quelli più oscuri. Inoltre, molte opere narrano di come le radici di un’esistenza restino invariate nel tempo, nonostante vengano sottoposte ad insidiose prove atte a deformarle.

Regina

A te che sei la tigre
dei tuoi istinti;
che leggi il mio essere
con spirito felino;
che fiuti la morte
sfidandola a zampate,
e mentre dormi miagoli
alle tenebre.
A te, custode della vita,
che mai avrei pensato
d’amare.
Son io a far le fusa
per uno sguardo,
un tuo restare sulla soglia
dell’anima mia.

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A Pallina

Non dimentico

Chi non ha lasciato
spazio;
chi ha coperto respiri
con pensieri
taglienti.
Chi con lingua serpente
ha fischiato le orecchie,
ed ha aperto ferite
anche ad angolo retto.

Non dimentico

Chi ti ha aperto
un portone per dar luce
ad un muro;
chi ha coperto i tuoi
passi gridando alla
fuga.
Chi ha fermato la corsa
alzando le braccia…
scavando con bocca
l’altrui fossa.

aaaa

Dal libro “Enigma” di Angela Albano